STAI ATTENTA
- Peter Byrne
- 12 mag
- Tempo di lettura: 12 min
Aggiornamento: 13 mag
di Peter Byrne
traduzione di Fabio De Propris
Lui: Stai attenta. Il tipo è grosso ed è capace di tutto.
Lei: Tutto?
Lui: Prende e ci colpisce.
Lei: Ci colpisce? E perché?
Lui: Non gli serve un motivo. È grosso, ecco il motivo.
Lei: Cos’ha contro di noi? Ce l’ha con te?
Lui: Mi accusa di essere indifeso.
Lei: Hai troppa immaginazione.
Lui: Anche tu dovresti immaginare un po’.
Lei: Pensa ai fatti.
Lui: Pensalo che solleva piano lo scarpone. Pensa di udire lo spiaccicamento.
Lei: Te lo figuri pazzo perché sei pazzo tu.
Lui: Che me ne importa chi è il pazzo? Io non voglio farmi schiacciare.
Lei: Ricomincia daccapo. Un passo per volta.
Lui: Ho già cominciato e ormai sono in corsa.
Lei: E così il tipo grosso ti fa le boccacce.
Lui: Sono già lontano, in iperossigenazione.
Lei: Secondo te una boccaccia è un ringhio.
Lui: Secondo me la strada è abbastanza buona.
Lei: “Un ringhio,” ti dici, “oddio, il tipo ha le zanne”.
Lui: Non mi dico niente. Ti sto dicendo che bisogna correre.
Lei: Ma dovresti pensare alla faccia che ha. Bisogna cominciare da lì.
Lui: Perché? Ha una faccia?
Lei: E mostra dei sentimenti.
Lui: Vuoi l’analisi del personaggio? Ha le gambe come due stantuffi. Io sono già nella contea accanto.
Lei: Devi cominciare a capirlo. Guardalo negli occhi.
Lui: Non posso fermarmi a fissarlo. Mi spazzerebbe via.
Lei: È un essere umano, ammettilo.
Lui: Fagli i miei complimenti. Io sono un essere umano che va veloce per rimanere intero.
Lei: Vuoi che io immagini. Beh, immaginiamocelo insieme.
Lui: Io vedo che ruota con le braccia e le gambe, e tritura come un mulino.
Lei: Che espressione ha?
Lui: Denti affilati, sguardo affamato che mi punta. Naso grosso, come tutto il resto, che annusa come una trivella.
Lei: È il tuo grosso lupo cattivo.
Lui: Correre, o non essere.
Lei: Il problema vero è altrove.
Lui: Mi darà una zampata tremenda e mi sbatterà per terra.
Lei: Il problema è la sua donna.
Lui: Chi?
Lei: Sprezzante, meschina.
Lui: Lei?
Lei: È il tipo che ti arriva da dietro e ti ficca un coltello nelle reni.
Lui: Non lei.
Lei: Annusa l’aria, guarda oltre, e poi il dolore ti fa urlare.
Lui: Non penso proprio.
Lei: Ti dà un calcio nel buio, senza dire una parola, come se neanche fosse lì.
Lui: Insomma, le piace far pulizia, mandare avanti la casa.
Lei: Mi butterà fuori, nella spazzatura.
Lui: Non devi starle tra i piedi. Non ce l’ha con te. Sta soltanto mettendo in ordine.
Lei: Sì, tutto è lindo e pinto, e io finisco nel secchio dell’immondizia.
Lui: Lo sai, è il suo lavoro: prendersi cura delle cose e mettere a posto.
Lei: Un becchino che fa il lavoro a modo, proprio.
Lui: Il trucco è parlarle. Sii carina con lei e vedrai che ti lascerà in pace.
Lei: E quando dormo, quando mi riposo? Devo essere carina? Mi mancano le parole e non ho più un posto dove stare. Mi spazza via.
Lui: È come un gioco. Devi schivare i colpi. Continua a parlare. È divertente, vedrai.
Lei: Un gioco? Io e lei? Giocherà al mio funerale, forse.
Lui: La puoi ammansire. Parlale con un po’ di tatto.
Lei: Non si chiacchiera con un aspirapolvere.
Lui: La povera donna ha quella montagna di carne addosso…
Lei: Non me la vedo sotto alcunché.
Lui: Da’ un’occhiata alle mani di lui. Prova a sottrarti alla presa. Due sacchi di cemento.
Lei: Sacchi di cemento? Sacchetti di pinoli, forse. Badi troppo alle misure. È grandissimo. È un elefante. Ma un elefante deve per forza farti fuori?
Lui: Non voglio rimanere nei paraggi mentre decide.
Lei: Non c’è pericolo.
Lui: Scappo.
Lei: Con quegli occhietti neanche riesce a vederti. Non ti perrr-cepisce proprio.
Lui: Mi fissa continuamente.
Lei: Nessuno ha la vista più corta dell’elefante.
Lui: Lascia perdere gli elefanti. Hanno la proboscide, le zanne, le orecchie a sventola, ma le mani, no. Io parlo del tipo grosso. Ha delle palanche mostruose.
Lei: Pensi sul serio che sia più pericoloso di un elefante per il fatto che ha le mani?
Lui: Gli elefanti non si scrocchiano le dita mentre sogno. Gli elefanti o sono estinti, o sono addomesticati, o sono intossicati dall’inquinamento.
Lei: Non li sottovalutare. Dovresti pensare di più agli elefanti.
Lui: Mettitelo bene in testa una volta per tutta: tiro la carretta, io, a passo a passo, un anno dopo l’altro. E lo faccio da sempre. Quando ho avuto un attimo per pensare? Mai.
Lei: Se ne vanno a morire via lontano, nessuno sa dove.
Lui: Bene, non posso fermarmi ai funerali. Non ho tempo. Di chi parliamo?
Lei: Elefanti. Nessuno sa dove siano i loro cimiteri.
Lui: Cosa vuoi dirmi di preciso? Devo continuare a correre.
Lei: Sono vegetariani.
Lui: Oddio, e muoiono lo stesso. Nonostante gli esercizi.
Lei: Esercizi non saprei, a parte il sollevamento pesi. Parlavo di verdure.
Lui: Io volo via, faccio pausa tra un passo e l’altro, mastico un po’ di lattuga o addento un frutto.
Lei: Ne mangiano a balle.
Lui: E così, mentre oziano e mangiucchiano, arriva un bestione più grosso e li mette fuori uso.
Lei: Le riducono in poltiglia.
Lui: In poltiglia?
Lei: Le balle.
Lui: Di frutta?
Lei: Ma che balle di frutta!
Lui: Balle e basta?
Lei: Balle.
Lui: Lw riducono in poltiglia mentre se ne stanno lì, senza fretta.
Lei: Esatto. Una balla di paglia, un cespo di lattuga, un cesto di frutta, un rametto di prezzemolo, una spremuta di limone, una mano di banane.
Lui: Che cosa?
Lei: Diciamo “una mano di banane.”
Lui: Ah, sì? E cosa intendiamo esattamente.
Lei: Quello che ho detto, una mano di banane.
Lui: Sarebbe “una manciata.”
Lei: No, ho detto “una mano”.
Lui: Forse vuoi dire “un casco di banane.”
Lei: Più caschi insieme fanno una mano di banane.
Lui: Non mi piace per niente.
Lei: Non c’è niente di preoccupante.
Lui: E se te ne casca in testa una? Cinque grosse dita che piombano dall’alto. Poi altre cinque. Forse un pugno. Saresti indifeso come il collo di un pulcino.
Lei: Non le vediamo mai sugli alberi.
Lui: Puoi starne sicura. Scapperei, sempre di corsa. Molto preoccupante.
Lei: Fanno tutto oltremare. Gli addetti sulle scale tagliano la mano piena di caschi che va a finire sulla nave, insieme alle altre mani.
Lui: Chi se la compra una mano tagliata, con decine di dita?
Lei: I grossisti, per esempio. Tu vorresti che le banane crescessero sugli scaffali del supermercato a tre o a quattro già incellofanate, mi sa.
Lui: Questa bella sorpresa mi potrebbe cascare addosso da un momento all’altro e tu ti aspetti che io affronti il tuo sarcasmo e il prodotto fresco?
Lei: Certe donne farebbero le pulizie nella giungla. Entrano con le scope e mettono in ordine i sentieri delle jene. Raccolgono con la paletta la cacca delle scimmie. Si vanno a cacciare anche nelle tane abitate.
Lui: Ignora le loro faccende. Le pulizie te le faranno tutte intorno, e ti rimarrà abbastanza spazio dove stare. Non attaccano gli esseri viventi, a parte cani e gatti.
Lei: Non le hai mai viste quando si abbattono sulle piante domestiche?
Lui: Mi sto concentrando qui. Una mossa per volta. Vado dal fruttivendolo e chiedo una mano di banane.
Lei: “Fruttivendolo” va bene, ma non gli direi così.
Lui: Certo, potrebbe rispondermi: “Lei è un bel tipo, sa? Ha un braccio solo, lei? Le mani di banane si vendono solo al paio.”
Lei: Non direi così perché il nostro uomo potrebbe non conoscere quest’espressione.
Lui: Guarda che abbiamo davanti uno che parla italiano.
Lei: Tu sei uno che parla italiano.
Lui: Va bene, va bene. Ma lui è nel ramo banane.
Lei: Oggi come oggi questo non significa niente.
Lui: Capisco. Nessuno sa più l’alfabeto a memoria. Chi riesce a contare solo con le dita?
Lei: Oggi come oggi è meglio non pensare ai giorni nostri.
Lui: E se ficco un vocabolario aperto a “mano di banane” sotto il naso di questo disinformato individuo?
Lei: Dovrebbe essere un libro ben grosso per contenere “fruttivendolo” e “mano di banane.”
Lui: Il mio sarà un acquisto in grande, una banavalanga.
Lei: Pensiamoci bene. Voglio dire: logisticamente.
Lui: Elefantemente. Dài.
Lei: Prima cosa, il trasporto.
Lui: Userò una carrozzina a tre ruote.
Lei: Perfetto. E per le comunicazioni?
Lui: Sapevo che me l’avresti chiesto. Senti qui. Userò le parole.
Lei: Di bene in meglio. Qualcuna in particolare?
Lui: E’ un affare complicato. Non voglio imbarazzarlo. Potrebbe essere un immigrato. Per esempio: “Ah, ecco, e così lei è uno straniero. Mi sono sempre chiesto come dicono una mano di banane laggiù nel suo Paese.”
Lei: Potrebbe accusarti di pregiudizio razziale.
Lui: Assolutamente no. Gli appassionati di banane nel mondo sono una grande famiglia.
Lei: Mi sembra una navigazione in acque pericolose.
Lui: La banana è la nostra ciambella di salvataggio.
Lei: Attento a non spiaccicarla, con le tue gaffes.
Lui: Mi risparmierei di sbucciarla.
Lei: Parliamo di un semplice commerciante al dettaglio, non di un filologo.
Lui: Se cominciamo a conversare, stravinco.
Lei: Il trucco non è fargli la lezioncina, ma innalzarsi sopra il livello della chiacchiera.
Lui: Mi vedrebbe come un normale genitore orgoglioso che spinge la sua carrozzina con il volume M dell’Enciclopedia Treccani dentro.
Lei: Non mi impegolerei con le enciclopedie.
Lui: La Treccani aggiunge un tocco di serietà.
Lei: E se avessi bisogno del volume B per “banana”? Faresti una bella figura da scemo solo col volume M per “mano.”
Lui: Mi hai convinto. Ma non mi lasciare in mezzo a una strada. Cosa mi consigli?
Lei: Hai ragione a consultare qualcosa di esauriente. Ma scegli un’opera in un volume unico, uno di quei dizionari grossi come un mattone.
Lui: Perfetto. Un librone un po’ ridicolo per un grosso fusto con dozzine di dita.
Lei: Ecco, potresti dire fusto. Lo capirebbe.
Lui: Il tipo mi capisce? Allora è fatta. Non mi porto il dizionario. Non lascerebbe spazio nella carrozzina per tutte quelle banane.
Lei: Cosa farai quando le porti a casa?
Lui: Io la vedo così: non saranno tutte mature uguali. Per cominciare elimino quelle molto mature.
Lei: Le “elimini”?
Lui: Le uso.
Lei: Mangiandole?
Lui: Le do al gatto che vive dietro casa.
Lei: Gatti e banane?
Lui: Vanno d’accordo.
Lei: I gatti le mangiano?
Lui: Quando passano il momento d’oro.
Lei: Chi, i gatti o le banane?
Lui: Entrambi. Un gatto rimbambito si sposa benissimo con una banana andata.
Lei: Il matrimonio dell’anno.
Lui: È cibo, e quei bastardi se lo devono mangiare. Togli la buccia e il resto è polpa, polpa bella matura, cremosa come un formaggino.
Lei: Sì, crema di latte. Credi che sia nata ieri?
Lui: Le schiacci con la forchetta come le patate.
Lei: Patate schiacciate? Sarebbe un gatto poco gattesco.
Lui: Il purè è purè. A me sembra formaggio molle. Se storce il naso, gli aggiungo un po’ d’erba gatta.
Lei: Mischialo con un po’ di pesce, almeno.
Lui: Non è più un cucciolo, è un randagio di poche pretese.
Lei: La puoi anche usare una scatoletta di sardine, per sbarazzarti di tutta quella polpa di banane.
Lui: Non confondiamo. Lui vive nel retro di casa mia. Le sardine le mangio io e la poltiglia di banane se la mangia lui.
Lei: E quelle troppo mature sono sistemate.
Lui: Poi prendo quelle con la buccia macchiata e le schiaccio un po’ per sentire la consistenza. Le più morbidine vanno mangiate per prime, domattina presto.
Lei: Cosa ti fa pensare che le banane non maturino tutte contemporaneamente?
Lui: Un momento. Da che parte stai?
Lei: O potrebbe essere tutte contemporaneamente acerbe e verdi.
Lui: Solo in teoria. Il buon vecchio sole dei Tropici di sicuro splende su tutta la mano, ma ogni dito ne riceve una quantità diversa. Non pensare alle generazioni, la nuova in attesa che l’altra si tolga di mezzo. Quella che abbiamo è una grande famiglia formata da giganti ipertiroidei, cicciottelle di secondo piano, anoressiche pallide e sottosviluppati.
Lei: Se sono verdi le potresti cuocere.
Lui: Non voglio stare a studiarmi ricette. Se non hanno il colore giusto, mi siedo e do loro il tempo di sbrigarsela da sole. Un po’ di pazienza non fa mai male.
Lei: Dovresti trovare un modo per conservarle, perché in qualunque modo maturino ne avrai sempre troppe.
Lui: Vuoi che cominci a fare la marmellata alla mia età?
Lei: Ci sono altri metodi. Le puoi seccare come i fichi e le albicocche.
Lui: Niente da fare. Il sole mi screpola la porta del retro, e poi puzza di gatto.
Lei: Allora ne avrai troppe. È inevitabile.
Lui: Tu sei pessimista.
Lei: Meglio essere ragionevoli. Comprane solo quattro-cinque.
Lui: Dici che dovrei andare al supermercato?
Lei: Fossi in te, sì. Perché vuoi complicarti l’esistenza?
Lui: Mi stai dicendo che dovrei darmi per vinto?
Lei: Ti do semplicemente un consiglio pratico.
Lui: Dovrei prendere il sentierino facile? Dimenticare i miei principi?
Lei: Non hai paura dei ragni?
Lui: Non ho nemici fra di loro. Per quanto ne so, stanno dalla mia parte.
Lei: Viaggiano sulle navi di banane.
Lui: Perché non dovrebbero farsi dei giretti come facciamo noi? Perché sono piccoli? Sai che ti dico? Io sto dalla loro parte.
Lei: Si intrufolano sotto il frutto in profondità.
Lui: Piccoli cari. Non hanno mani. Ci penso sempre due volte, prima di schiacciarne uno.
Lei: Più banane porti a casa, più ragni in regalo ti danno.
Lui: Vuoi mettermi paura?
Lei: Sotto il frutto, nel palmo della mano.
Lui: E tu li scuoti via.
Lei: La mano è troppo grande per essere scossa.
Lui: E allora scacciali con un ventaglio.
Lei: Vengono dalla famiglia delle tarantole.
Lui: Un ragno è un ragno. Io sto con loro.
Lei: Tutto è più grande nell’emisfero sud.
Lui: Cosa intendi per “grande”?
Lei: Come un passero.
Lui: Ma senza ali, senza cinguettii, senza mani.
Lei: Hanno un certo numero di gambe, con lunghi peli sopra.
Lui: Figuriamoci se torno indietro per un insetto senza piedi adesso che sono arrivato così lontano.
Lei: Va’ avanti, allora. Fatti mordere e lascia che le gambe ti avviluppino.
Lui: Senza fretta. Tu butti la carta e tiri la catena. E no. Abbi un po’ di nerbo.
Lei: Tu sei così estremo.
Lui: Ogni giorno o è un avventura, o è solo un numeretto sul calendario.
Lei: Appunto.
Lui: E quando è finito il mese, strappo la pagina.
Lei: Temerario.
Lui: Tengo sempre d’occhio il tipo grosso.
Lei: Testardo.
Lui: Controllo a vista lo strangolatore.
Lei: Temerardo, testardario e malaccoppiato.
Lui: Cauto, piuttosto: mi muovo sempre.
Lei: Ti dovresti fare una domanda.
Lui: Va bene, ma non di più. Non mi confondete le idee.
Lei: Ne vale la pena, un’intera mano?
Lui: La mia risposta è sì, mille volte sì.
Lei: Ecco, pensaci un momento con calma, e dimmi perché.
Lui: Perché? Te lo dico subito: voglio quel fusto che sta in mezzo alla mano.
Lei: Più che un fusto è una nervatura.
Lui: Con quella mano non c’entra la nervatura, ma il fusto. E io lo voglio.
Lei: Strano che tu dica così.
Lui: Perché? Dammi una dozzina di ragioni.
Lei: Perché comincio ad avere i miei dubbi su quella parola, una mano di banane.
Lui: E’ senza dubbio una mano.
Lei: Sarebbe stato meglio guardare quel dizionario grosso.
Lui: Lascia perdere. Tutti dicono una mano di banane.
Lei: Tutti?
Lui: E non c’è questione sul fusto. Ci deve stare per tenere insieme tutto il mucchio.
Lei: Ah, il fusto.
Lui: Ne voglio uno.
Lei: Un fusto?
Lui: E’ legnoso, no?
Lei: Tendenzialmente.
Lui: Piegato, con i peduncoli che sporgono.
Lei: Se ti piace.
Lui: Lo voglio per farci una cappelliera.
Lei: Non ti ho mai visto col cappello.
Lui: Non stare a spaccare il capello in quattro. Ci appendo le sciarpe. Allo spuntone finale ci aggancio l’ombrello. Ci lascio l’impermeabile ad asciugare.
Lei: Tende al legno, ma ha una fibra vegetale ancora piuttosto tenera. Non reggerebbe un impermeabile fradicio.
Lui: Cancella l’ordine con tante scuse, allora. Non posso tenermi una cappelliera solo per capi che pesano meno di una piuma.
Lei: Il cliente ha sempre ragione.
Lui: Gli elefanti mangiano banane?
Lei: Se lo fanno i gatti.
Lui: Chi ha mai sentito di elefanti randagi?
Lei: Sono randagi anche loro, però vanno più lontano.
Lui: Con maggior determinazione.
Lei: Con maggior ponderazione.
Lui: Sanno dove vanno,
Lei: A loro non gli puoi dire cosa devono mangiare.
Lui: Dimentica l’erba gatta. A quelli non c’è bisogno di sbucciarla, una banana.
Lei: Caschi. Ne vogliono a caschi.
Lui: Caschi? Mani. Per gli elefanti ci vogliono le mani di banane.
Lei: Conserva le proporzioni.
Lui: Me l’hai detto tu, il tipo grosso è un cucciolo. Mi fracassa, ma è cucciolo, lui. Mi si siede sopra, il cucciolo.
Lei: Non lo capirai mai.
Lui: Va bene, non è una montagna. Ma io sono un granello di sabbia impaurito.
Lei: Misura, misura. Devi ridurre la misura.
Lui: Sosterresti che è ben disposto nei miei confronti?
Lei: Dagli una possibilità.
Lui: Dargliela a lui? Con quelle mani enormi abbranca quello che vuole. Si prende sempre una seconda razione. Domina la tavola intera.
Lei: Cosa gliene importa di farti del male?
Lui: Lo sa lui. Io mi volto di spalle, non faccio domande.
Lei: Secondo me sei al sicuro, fino a che la sua vecchia non lo monta contro di te.
Lui: Come se non portasse lui i pantaloni.
Lei: Sbagli. Non t’accorgi come lei si fa le unghie?
Lui: Le unghie di lei?
Lei: Quando sorride, guarda le rughe che le si aggrinzano agli angoli della bocca.
Lui: Le rughe?
Lei: E’ una vecchia cornacchia bisbetica.
Lui: E’ un po’ forte.
Lei: Poiana pottana puttana.
Lui: Capisco: ti fa venire la febbre terzana. Ma che male ti può mai fare con lo spolverino di piume?
Lei: Il peggio, con quel sorriso detergente. Ti ficca gli artigli nella carne mentre a lui dice di stare calmo.
Lui: Quella ballerina dello straccio sarebbe una poiana?
Lei: Guardale la punta del becco, l’uncino delle grinfie.
Lui: E’ alta un barattolo.
Lei: Come il virus della peste.
Lui: Io la trovo utile. Mi aggiusta il colletto della camicia.
Lei: Per afferrarti la gola.
Lui: Va d’accordo col tipo grosso.
Lei: Non ha scelta, lui.
Lui: Lei potrebbe mandare a fondo quel balenottero?
Lei: Facilmente, con la punta ad ago del suo sperone.
Lui: Contro il signor Segaelettrica?
Lei: Tutto fumo. Tu lo ingrandisci troppo.
Lui: E tu lo rimpiccolisci. Una briciola.
Lei: Forse dovremmo guardare a quei due con occhi nuovi.
Lui: Essere veramente obiettivi.
Lei: Leggere i caratteri più piccoli.
Lui: Non dobbiamo tralasciare i titoli dei capitoli.
Lei: Bisogna considerare il testo nel suo complesso.
Lui: Le cose stanno così. Lui mi vuole kaputt, fuori dal quadro, in fuga.
Lei: Lei mi vuole all’angolo, occupata a far nulla.
Lui: Lui è il cielo, io sono il tempo di ieri.
Lei: Lei tiene il controllo di tutto. Io sono un elastico rotto.
Lui: Io qui squittisco appena, mentre lui avanza col suo passo che scuote la terra.
Lei: Lei dice che fa a modo suo e che io non imparerò mai.
Lui: Eccolo che si avvicina, sembra un rullo compressore.
Lei: E’ lei l’ispettore che mi sorprende alle spalle.
Lui: Eppure certa gente non lo vede.
Lei: Devono essere ciechi.
Lui: Mio figlio, per dire.
Lei: Mia figlia, per esempio.
Lui: E’ tutto così chiaro.
Lei: Salta agli occhi.
Lui: Basta che chiedi a mia figlia.
Lei: Fattelo dire da mio figlio.
(Istanbul, 27 febbraio 2000)
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